Tratto dal foglio
Voi discutete di rigori e Toni, Eriksson tromba come se non ci fosse un domani
Londra. Gelosa delle goleade a cui la serie A ci ha abituati quest’anno, la Premier si è rifatta con un weekend pazzesco. Sorvolando sulla rete del portiere dello Stoke direttamente su rinvio dopo 14 secondi, buona al massimo per il colonnino di destra di Repubblica.it, e l’esagerato ma giusto 7-0 del City al Norwich, noto con piacere che l’Arsenal ci ha preso gusto: il 2-0 al Liverpool è sintomo di chi ci crede sul serio. Evidentemente i ragazzi di Wenger si sono guardati intorno e, accortisi che quest’anno poche squadre sembrano reggere i loro ritmi, hanno cominciato a vincere e restare in testa. Chi insegue non ha continuità, per ora: il Chelsea è più pazzo del suo allenatore, e lo United deve ringraziare Rooney e Van Persie che si dividono equamente gol e assist per tenere in corsa la squadra allenata da Moyes. Ciò che fa parlare di più qui da noi però è l’autobiografia di Sven-Göran Eriksson. Da ciò che si comincia a leggere in giro pare chiaro che il mestiere di allenatore sia un semplice riempitivo tra una donna e l’altra, tanto che ci si chiede come faccia a restare per ben novanta minuti in panchina senza scomporsi. Se fosse presidente del Consiglio lo avrebbero già arrestato, qua invece lo invidiamo aspettando di conoscere le sue gesta in Asia, dove ora allena. Ognuno è libero di fare come vuole, d’altra parte. Cosa che ai sovietici della Fifa non va giù: grande scandalo da quelle parti perché il portiere del Tottenham ha rifiutato di essere sostituito dopo avere preso una botta alla testa durante il match con l’Everton. Ma dopo avere visto Blatter imitare Cristiano Ronaldo recitando la parte che gli viene meglio, quella del buffone, non mi stupisco più di nulla.
Piuttosto ci vorrebbe qualcosa di davvero incisivo, tipo un editoriale di Beppe Severgnini sul New York Times, per spiegare al mondo la crisi del calcio italiano. La si capisce in tutta la sua mesta portata quando Luca Toni dice che si convocherebbe e si schiererebbe in Nazionale: il problema è che Toni ha perfettamente ragione. Gli Azzurri dovrebbero davvero guardare al carrello dei bolliti per sperare di rabberciare una Nazionale falcidiata dalla crisi di talento e dal codice etico di Prandelli. Temo, fra l’altro, che gli striscioni degli ultrà del Verona in solidarietà ai morti di Alba dorata facciano automaticamente decadere Toni dalla lista dei convocabili, ma sull’interdizione probabilmente decideranno in solido la Corte d’appello di Milano e un’apposita commissione presieduta da Michel Platini, il moralizzatore sopranazionale. Altro fattore da tenere presente nel racconto della crisi è la lista per l’assegnazione del Pallone d’oro, trofeo assimilabile per dignità a un premio giornalistico o al Nobel per la letteratura, dove fra gli italiani figura il solo Pirlo, un altro che era giovane agli albori della Seconda Repubblica. In realtà ci sarebbe da vantarsi dell’esclusione dal premio fatto per vellicare le voglie di Blatter, altro che campagne #nonsolopirlo e altre rivendicazioni piccine che nulla portano al calcio italiano, quel particolare sport in cui si gioca per novanta minuti e alla fine è colpa dell’arbitro.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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