lunedì 30 aprile 2012

wish list....La lista dei desideri

x l'attacco
x la difesa
L'allenatore

In Società
Settore Giovanile


Settore Giovanile




Comunicazione
La mia prossima campagna acquisti modello Bilbao

Udinese - Lazio 2-0

L'udinese...L'udinese....la squadra, " Biscotti Gentilini " che ogni anno piazza la partita materasso, al miglior offerente?
Con questi perdere, da ancor più fastidio.
Ma fino a quando c'è il pupazzo Gnappo a capo della società, il buttafuori albanese come direttore sportivo, il profeta del bel gioco in panchina, ed un P.R. delle notti romane come addetto stampa......
Ma di cosa vogliamo parlare ???

La mediocrità non ci lascerà presto.....


venerdì 27 aprile 2012

Addio al calcio


Valerio Magrelli

L'intervista con l'autore


  Addio al calcio

Novanta racconti da un minuto

2010


Come in un curioso romanzo eroicomico, un tifoso «suo malgrado» accetta di esporre le proprie confessioni: l'epica irredimibile delle domeniche pomeriggio trascorse preda del televisore, la mite bellezza dei mille campetti improvvisati, i due tiri sulla spiaggia, la cronaca dei vecchi album sportivi, i palloni perduti sui prati montani¿
Tramandato di padre in figlio come un rito d'iniziazione, il calcio appare infine come una staffetta, un pegno, un'umile divinità domestica chiamata a vegliare sul futuro delle famiglie italia


giovedì 26 aprile 2012

100 anni dalla nascita di Renato Rascel


Athletic Bilbao - Sporting Lisbona 3-1

Il calcio, la sua vera espressione, niente fighette milionarie con il polpaccio di cristallo,
 una squadra, un popolo, uno stadio....
Noi ci siamo....lo stadio e la squadra senza fighette ?









PS. Questi la finale la fanno con un altro che allena ed ha le palle.....Grande Cholo

mercoledì 25 aprile 2012

quel che penso del Barça..... scritto meglio

TUTTO quel che penso del Barça...scritto meglio

 

In morte del Barça, il vitello blaugrana che si credeva un popolo eletto

Passeggiata non sobria di un perfido britannico sul cadavere del “més que un club” dopo l’impresa del Chelsea

Questa mattina ho aperto i giornali e il senso di colpa mi ha schiaffeggiato senza pietà: “Devi smetterla di bere, non la reggi più quella roba” mi dicevo mentre sfogliavo le notizie di un favoloso pareggio del Chelsea al Camp Nou e le mie tre o quattro teste litigavano sul modo più rapido per smaltire l’hangover. Albert Camus, uno che di calcio s’intendeva, ha scritto che la “grandezza arriva come un bel giorno”, e aveva ragione. E’ un fatto naturale eppure del tutto inaspettato, sorprendente. Mentre mettevo a fuoco le immagini che mi passavano davanti credo di aver sperimentato qualcosa di simile a quello che voi italiani avete visto quella mattina del 2006, quando la Gazzetta dello Sport vi rincuorava dicendo “è tutto vero”, la sbornia non si era portata via nottetempo una coppa che pochi avevano osato sognare.
Chiarisco subito un concetto: il motivo del mio gioire, l’essenza più intima del mio “bel giorno”, non è la vittoria del Chelsea, quanto la sconfitta del Barcellona. Vedere giocare i blaugrana è uno spettacolo – come la donna cannone, la casa degli spettri, la quadriglia, la gara di mangiatori di hamburger – vederli perdere, e perdere in quel modo, è un’ascesi. Meraviglioso sentire l’imbarazzo dei commentatori tv che si sono trovati a dovere parlare di calcio, e questo li ha presi alla sprovvista, abituati com’erano a ragionare di calcetto. Qualcuno dirà che non c’è onore nell’infierire sul cadavere, ma, dico io, dipende poi dal cadavere. Quello che è caduto sotto i pochi e iracondi colpi del Chelsea è il cadavere di una squadra-modello, di un brand sorridente, di uno sfrontato inno al bel gioco che si è illuso, e continuerà a illudersi, non c’è dubbio, che la perfezione sia di questo mondo. Con le sue pretese di superiorità antropologico-calcistica benedette dal timbro umanitario dell’Unicef, il Barcellona è un golpe palla a terra che vuole detronizzare gli immondi sovrani del calcio. Di questo si tratta: il mondo del calcio si divide in due categorie. C’è chi ne rispetta le leggi, ne sfida i limiti in un duello leale e terribile, e c’è chi pretende di redimerlo, di perdonarne i peccati con una trama di passaggi perfetti e percentuali bulgare di possesso palla. Per estirpare il male e piantare nel mondo il “modello barça” come segno della redenzione non basta un misto di cantera e giacche stirate, serve almeno l’assistenza divina, altrimenti si finisce per votarsi a un idolo fasullo, un vitello blaugrana al quale tutti si prostrano soltanto perché è più semplice.
E’ più semplice credere ai dribbling di Messi, ai passaggi di prima, ai numeri da circo, all’allegria, alla remuntada e a tutta questa zuccherosa crema catalana piuttosto che venire a patti responsabilmente con la propria natura terrena. L’assunto da cui tutto muove è che il Barcellona è “més que un club”, come dicono loro, che però stavolta è stato cacciato dalla Champions da “just a club”; anzi, prima della cura di Di Matteo era molto meno di un club. Era un agglomerato informe unto da soldi russi e amministrato da un mourinhello di borgata. Nei pub e nelle cervecerie si è detto fino allo sfinimento che il Chelsea non ha meritato di passare il turno. Ma cosa significa, nel calcio, meritare? Il presidente del més que un club, Sandro Rosell, ha confuso il concetto di merito con quello di intrattenimento e, sobriamente rammaricato, ha detto: “Se vincesse sempre chi gioca meglio non perderemmo mai”. Non sa che una frase del genere è una violazione del principio di non contraddizione calcistico. Chi gioca meglio è la squadra che mette le “balls” in campo, chi lotta con furore predatorio per piegare l’avversario. Questo conta, e mettermi a spiegare che “il gioco all’italiana”, “il gioco all’inglese” e “il gioco alla spagnola” sono categorie più datate della sigla di “Dribbling” sarebbe un insulto all’intelligenza.
Il Barça, questo è ovvio, è stato padrone del campo. Ha avuto più occasioni. Ha schiacciato l’avversario. Lo ha schiacciato così tanto che dopo il 2 a 0 di Iniesta, con i Blues in dieci, tutto il mondo, ormai drogato dalle prestazioni a ripetizione, ha visto un’umiliante goleada materializzarsi. E’ a quel punto che ho stappato la seconda bottiglia. L’ho trangugiata in piedi, dritto come una stalagmite, mentre Ramires faceva quello che d’ora in poi sarà per sempre un “gol alla Ramires” ma che fino all’altro giorno era un gol alla Messi. Ho continuato a suggere alcol mentre gli idoli di questo umanesimo pallonaro cercavano di gestire lo svantaggio (complessivo, s’intende) con quell’aria che dice: “E’ solo questione di tempo, il gol ve lo facciamo”. Invece non l’hanno fatto. Ci sono andati vicini, ma come si poteva segnare con quel sublime catenaccio guidato dal terzino Drogba, giocatore di lotta e di governo che l’altra notte ha dato anche quello che non aveva?
Il rigore sulla traversa è stato un episodio beffardo per chi crede che il calcio si vinca ai punti, invece quest’arte nobile non è affatto, è drammaticamente umana e talvolta concede qualcosa alla perversione, come nella ginocchiata di Terry, episodio meraviglioso con il senno di poi.
I commentatori sportivi in tv, poi, erano più imbarazzati di Messi dopo la quarta partita di fila da giocatore normale. Avevano preparato e imparato la parte a memoria, le facce sorridenti e tutti i luoghi comuni in fila: gli extraterrestri, il fari play di Guardiola, il possesso palla, Messi più forte di Maradona e Pelé, la cantera e la squadra più bella del mondo, invece è toccato loro discutere di calcio. Il secondo tempo passato in trincea ad allontanare i palloni dalla propria area con qualunque parte del corpo è calcio. Drogba che fa il terzino, lo stopper, l’ala e il centrocampista contemporaneamente è calcio. E quando una sua entrata troppo generosa in area stava per scrivere un altro capitolo della saga sfigata del Chelsea in Champions League, ci ha pensato quella strana forma di giustizia ingiusta che si può trovare solo nel football. Dare un rigore al miglior rigorista del mondo a quel punto del match era come dare a Repubblica un’intercettazione di Ruby: comunque vada ci tireranno fuori qualcosa. La traversa che ieri mattina vibrava ancora al Camp Nou è lì a raccontare che no, i blaugrana forse non sono più il popolo eletto degli dei del calcio. Ci si è allora provati a buttare – parlo sempre dei commentatori – sull’applauso dello stadio a fine partita. Che sportività, che emozione, che amore disinteressato.
Roba che da noi in Inghilterra si fa da anni, e non solo alle squadre che dopo tre Champions League vinte escono in semifinale, ma alle squadre che retrocedono dopo una stagione inguardabile. Ma la retorica ha la sua liturgia, e capisco che vada celebrata fino all’amen dei nuovi luoghi comuni, quelli che “è finito un ciclo”, “Guardiola se ne va” e via dicendo. Invece di chiedersi come avessero fatto i Bleus a battere i blaugrana, ci si chiedeva come avessero fatti i blaugrana a non battere i Bleus. Ha vinto il migliore perché il migliore è quello che su due partite non ne perde nemmeno una, non chi colpisce tanti pali e mette molti palloni inutili in area di rigore. E non ci si può contenere quando quell’ennesima palla sparacchiata a caso dalla difesa precipita sui piedi di Torres, un niño perduto e forse ritrovato ma poi chissà se dura (e a questo punto chissenefrega), e lui si fa la metà campo più lunga della sua vita prima di mettere a sedere Valdes e metaforicamente mandare un “baciatemi il culo” ai tifosi del Camp Nou. In quel momento ho pensato alla pessima serata di Platini e Blatter, che vedevano rompersi il loro giocattolo. E ho stappato un’altra bottiglia. Ora il Chelsea dovrà giocarsi una finale comunque da sfavorita, e senza Terry,  ma soprattutto senza Ramires e Meireles, per quella regola idiota che vuole squalificati anche i giocatori che si prendono due cartellini gialli in sei partite. Ma a questo punto può anche perdere 4 a 0. Il compito affidatole dal destino, far cadere i falsi idoli, è stato portato a termine.

Novara 2 -1 Lazio

Bella partita ben giocata, perfettamente impostata da mister Reja.
Giocatori in palla, concentrati, cattivi su ogni pallone, abbiamo schiacciato per 93' minuti gli avversari nella loro area, con decine di occasioni da rete. Solo la sfortuna che non è ancora moralizzata, ma lo sarà a breve, ci ha impedito di vincere. 
                                                                      Firmato Claudio Lotito




"Luis Enrique non resto 5 anni".....ti prego ripensaci

Luis Enrique: «Tranquilli, non resto per cinque anni»

Il tecnico della Roma nervoso e polemico in conferenza stampa: «In giallorosso ancora a lungo? Quando l'ho detto scherzavo, ora non è il momento di scherzare. Qualcuno di voi potrebbe morire. Cosa ho sbagliato? Tutto, al 100 per cento. Totti? Non giocherà fino a 50 anni e i compagni devono abituarsi a giocare senza di lui»

Luis Enrique, mai parlato di progetto

ROMA, 25 APR - ''Non ho mai parlato di progetto,: se c'e' un responsabile quello sono io''. Cosi' Luis Enrique dopo la sconfitta casalinga della [...]


Luis Enrique quasi un addio: «Colpa mia»



TI PREGO LUIS RIPENSACI

lunedì 23 aprile 2012

Lazio - Lecce 1-1

Lazio combattiva, l'impegno c'è stato e fino 2 min. dalla fine aveva dato i suoi frutti...
Mancavano almeno 9 giocatori di quelli che fanno la differenza tra una squadra da terzo posto e ...il Lecce.







sabato 21 aprile 2012

21 aprile 2012

Dunque....dunque....
2012 + 753 = ... 2765 anni...... 

Buon compleanno........ ROMA


 

Visto che è il suo compleanno diamo qualche nuova informazione sulla sua storia....

Trovato il Lupercale
la grotta di Romolo e Remo

di Carlo Alberto Bucci
È nelle profondità del Palatino, sotto la casa di Augusto. In quella grotta secondo la leggenda furono nutriti dalla lupa i figli di Rea Silvia. Una telecamera in una frattura nella collina permette di filmare il luogo di antichissimi riti
L´occhio elettronico è sceso nelle viscere del Palatino alla ricerca di un rimedio per le vestigia del palazzo di Augusto che minacciano di crollare sul colle dei magnifici edifici imperiali. Ma, a sette metri sotto terra, la sonda elettronica ha trovato un grande vuoto. E lì ha toccato forse il cuore della storia di Roma: la grotta dove, vuole la leggenda sulla fondazione della città, la lupa offrì le sue gonfie mammelle alle bocche affamate di Romolo e Remo; la "nursery" che Augusto abbellì solennemente per trasformare quell´antro oscuro a un passo dal Tevere in luogo fondativo dell´impero. Forse proprio attraverso la magnifica tessitura di mosaici, pietre pomici e valve di conchiglie, dominate da un´aquila bianca su fondo azzurro, che decorano la grande volta sepolta appena ritrovata: il "cielo" di un ninfeo che, tra nicchie e pareti curve, arriva a 16 metri di profondità.

il doping...facciamoci una cultura.

Il doping alla Juve

Il doping alla Juve

Il testo integrale della sentenza di condanna

Sinossi

Il testo integrale della sentenza del Tribunale Penale di Torino con il quale viene condannato il medico legale della Juventus per aver ripetutamente somministrato ai calciatori del club torinese medicinali e sostanze vietate dalla legge in concomitanza con gare sportive. Un documento nel quale si ricostruiscono storia e protagonisti dell'affaire doping all'interno del maggiore club di calcio italiano.



Il calcio in farmacia

Il calcio in farmacia

Sinossi

Nel luglio del 1998 Zdenek Zeman dichiarò all'Espresso che il calcio era finito in farmacia. Gli diedero del visionario. Poi si capì che chi doveva controllare non lo aveva fatto e che questa era la ragione per cui il calcio sembrava indenne dal cancro del doping. Mauro Barletta ripercorre gli scandali che hanno travolto uno degli sport più seguiti del mondo, soffermandosi in particolare sul caso Juventus e sull'inchiesta giudiziaria condotta dalla procura di Torino.





Buon sangue non mente

Buon sangue non mente

Il processo alla Juventus raccontato dal grande nemico

di Giuseppe D'Onofrio

Sinossi

Il processo alla Juventus in presa diretta. La vicenda giudiziaria che ha sconvolto il calcio italiano raccontata dall’ematologo Giuseppe D’Onofrio, il perito incaricato di esaminare i campioni di sangue dei calciatori bianconeri e il cui lavoro risultò determinante per mettere alle corde la squadra più blasonata d’Italia. Partendo dalle esternazioni di Zeman che aprirono il caso nel 1998, Buon sangue non mente ripercorre dall’interno una lunghissima stagione di veleni e colpi di scena, dai trionfi juventini degli anni Novanta fino alla sentenza di condanna per frode sportiva del 2004 (poi ribaltata in appello) che da molti venne letta come una tragica presa d’atto sullo stato di salute del nostro sport nazionale. Ma questo libro non si limita alla cronaca dei fatti: è anche la storia del suo autore, un uomo che, da solo, si è trovato suo malgrado a sfidare i piani alti del potere calcistico; e di un processo svoltosi in un clima rovente, che ha visto sfilare in aula star del calcio giocato e satrapi della dirigenza juventina (Vialli e Del Piero, Zidane e Ravanelli, Giraudo e il dottor Agricola). Tra reticenze, deposizioni imbarazzate, dibattimenti ai limiti dell’assurdo, aggressioni, minacce, gogne mediatiche, intimidazioni, Buon sangue non mente esplora con coraggio e passione civile il lato oscuro di un mondo che si vorrebbe scintillante e senza macchie
 
 
 
 
 
L'ultima partita

L'ultima partita

di Mola Giulio

Sinossi

Il circo del pallone non è sempre un'oasi felice e dorata. Non è sempre palcoscenico di grandi eventi, leggendari trionfi e memorabili sconfitte. Spesso inquietanti ombre avvolgono il calcio italiano, e non solo: le morti misteriose, le malattie improvvise, lo spettro del doping e quell'assurdo catalogo della "Farmacia dello Sport", che racchiude un elenco di orrori. È questo un libro-inchiesta che, senza censure e senza bavagli, fa il punto sui mali oscuri del "gioco più bello del mondo". Dalle dichiarazioni di Zeman all'indagine del Procuratore Guariniello, dalle denunce dei sopravvissuti alle drammatiche testimonianze di chi non ce l'ha fatta, dalle tragiche morti spagnole in diretta alle spericolate vite di campioni aggrappati alle flebo. Tutto questo riavvolgendo il nastro e rivedendo le tante, troppe, morti premature e sospette e legate a terribili malattie quali la micidiale SLA, la leucemia, il tumore al fegato. A scuotere le coscienze ci pensano le vedove, gli orfani e i miracolati, ma pure chi vede già scritto il proprio triste destino e chi ha avuto il coraggio di raccontare ciò che ha visto fino a ieri (non trent'anni fa) negli spogliatoi, quelli di periferia e quelli delle grandi metropoli. Perché fino a questo punto, fino al rischio di mettere a repentaglio anche la vita dei giocatori? Quante altre croci in futuro renderanno più tristi i verdi campi di gioco? Introduzione di Gianluca Vialli.
 
 
 
 
 
  

Il morbo del pallone

Gehrig e le sue vittime

di Massimiliano Castellani

Sinossi

Lei ti accompagna, non ti lascia mai, è molto premurosa, è capace di farti sentire "bene", ti prepara, ti mette il vestitino della festa, le scarpe nuove... te la suona, e te la canta. Quando sei rilassato, quasi contento, e stai pensando "così puoi affrontare la vita", la stronza... lei, si sveglia, e cerca di fotterti.
 
 
 
 
 
Ed in ultimo una riflessione sul calcio moderno..........
 
Continuano a pensare con i piedi

Continuano a pensare con i piedi

di Massimiliano Castellani

 Sinossi
Un viaggio provocatorio, fatto di denunce scritte con il pensiero in punte di piedi, al termine di una notte trascorsa con Osvaldo Soriano che torna, ed entra nella stanza del cronista sportivo per parlare di questo calcio in cui sembra si sia persa del tutto la poesia. Un incontro tra due nostalgici innamorati del gioco del pallone, in un dialogo serrato fatto di rimandi al passato e di storie di piccoli eroi esemplari che l'autore ha incontrato di persona e con i quali cerca di tracciare un profilo globale dei mali che affliggono l'attuale sistema calcistico.




Per non sorprendersi di morti "casuali", di vecchi a 40 anni, di morbi sconosciuti alla gente "normale".
L'antidoto è sapere........

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