TUTTO quel che penso del Barça...scritto meglio
In morte del Barça, il vitello blaugrana che si credeva un popolo eletto
Passeggiata non sobria di un perfido britannico sul cadavere del “més que un club” dopo l’impresa del Chelsea

Chiarisco subito un concetto: il motivo del mio gioire, l’essenza più intima del mio “bel giorno”, non è la vittoria del Chelsea, quanto la sconfitta del Barcellona. Vedere giocare i blaugrana è uno spettacolo – come la donna cannone, la casa degli spettri, la quadriglia, la gara di mangiatori di hamburger – vederli perdere, e perdere in quel modo, è un’ascesi. Meraviglioso sentire l’imbarazzo dei commentatori tv che si sono trovati a dovere parlare di calcio, e questo li ha presi alla sprovvista, abituati com’erano a ragionare di calcetto. Qualcuno dirà che non c’è onore nell’infierire sul cadavere, ma, dico io, dipende poi dal cadavere. Quello che è caduto sotto i pochi e iracondi colpi del Chelsea è il cadavere di una squadra-modello, di un brand sorridente, di uno sfrontato inno al bel gioco che si è illuso, e continuerà a illudersi, non c’è dubbio, che la perfezione sia di questo mondo. Con le sue pretese di superiorità antropologico-calcistica benedette dal timbro umanitario dell’Unicef, il Barcellona è un golpe palla a terra che vuole detronizzare gli immondi sovrani del calcio. Di questo si tratta: il mondo del calcio si divide in due categorie. C’è chi ne rispetta le leggi, ne sfida i limiti in un duello leale e terribile, e c’è chi pretende di redimerlo, di perdonarne i peccati con una trama di passaggi perfetti e percentuali bulgare di possesso palla. Per estirpare il male e piantare nel mondo il “modello barça” come segno della redenzione non basta un misto di cantera e giacche stirate, serve almeno l’assistenza divina, altrimenti si finisce per votarsi a un idolo fasullo, un vitello blaugrana al quale tutti si prostrano soltanto perché è più semplice.

Il Barça, questo è ovvio, è stato padrone del campo. Ha avuto più occasioni. Ha schiacciato l’avversario. Lo ha schiacciato così tanto che dopo il 2 a 0 di Iniesta, con i Blues in dieci, tutto il mondo, ormai drogato dalle prestazioni a ripetizione, ha visto un’umiliante goleada materializzarsi. E’ a quel punto che ho stappato la seconda bottiglia. L’ho trangugiata in piedi, dritto come una stalagmite, mentre Ramires faceva quello che d’ora in poi sarà per sempre un “gol alla Ramires” ma che fino all’altro giorno era un gol alla Messi. Ho continuato a suggere alcol mentre gli idoli di questo umanesimo pallonaro cercavano di gestire lo svantaggio (complessivo, s’intende) con quell’aria che dice: “E’ solo questione di tempo, il gol ve lo facciamo”. Invece non l’hanno fatto. Ci sono andati vicini, ma come si poteva segnare con quel sublime catenaccio guidato dal terzino Drogba, giocatore di lotta e di governo che l’altra notte ha dato anche quello che non aveva?
Il rigore sulla traversa è stato un episodio beffardo per chi crede che il calcio si vinca ai punti, invece quest’arte nobile non è affatto, è drammaticamente umana e talvolta concede qualcosa alla perversione, come nella ginocchiata di Terry, episodio meraviglioso con il senno di poi.

Roba che da noi in Inghilterra si fa da anni, e non solo alle squadre che dopo tre Champions League vinte escono in semifinale, ma alle squadre che retrocedono dopo una stagione inguardabile. Ma la retorica ha la sua liturgia, e capisco che vada celebrata fino all’amen dei nuovi luoghi comuni, quelli che “è finito un ciclo”, “Guardiola se ne va” e via dicendo. Invece di chiedersi come avessero fatto i Bleus a battere i blaugrana, ci si chiedeva come avessero fatti i blaugrana a non battere i Bleus. Ha vinto il migliore perché il migliore è quello che su due partite non ne perde nemmeno una, non chi colpisce tanti pali e mette molti palloni inutili in area di rigore. E non ci si può contenere quando quell’ennesima palla sparacchiata a caso dalla difesa precipita sui piedi di Torres, un niño perduto e forse ritrovato ma poi chissà se dura (e a questo punto chissenefrega), e lui si fa la metà campo più lunga della sua vita prima di mettere a sedere Valdes e metaforicamente mandare un “baciatemi il culo” ai tifosi del Camp Nou. In quel momento ho pensato alla pessima serata di Platini e Blatter, che vedevano rompersi il loro giocattolo. E ho stappato un’altra bottiglia. Ora il Chelsea dovrà giocarsi una finale comunque da sfavorita, e senza Terry, ma soprattutto senza Ramires e Meireles, per quella regola idiota che vuole squalificati anche i giocatori che si prendono due cartellini gialli in sei partite. Ma a questo punto può anche perdere 4 a 0. Il compito affidatole dal destino, far cadere i falsi idoli, è stato portato a termine.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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